Atropa belladonna L.
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Fiori - Foglie - Frutti

 

Famiglia Solanaceae

Nome volgare Belladonna

Caratteristiche Pianta perenne, erbacea, con grosso rizoma cilindrico, fusti eretti, scanalati, alta sino a 150 cm.
Le foglie, picciolate, sono ovali, acuminate all'apice, alterne.
I fiori sono solitari, portati da lunghi peduncoli. Il calice ha 5 sepali, la corolla campanulata o cilindrica, di colore porpora o bruno, con riflessi violetti all'esterno, mentre all'interno riflessi grigio-gialli ed è divisa in 5 punte arrotondate all'apice.
I frutti sono bacche sferiche, nere e lucide a maturazione.

Diffusione Presente, ma rara, in tutta Italia.

Sostanze contenute Alcaloidi tropanici (atropina, iosciamina, scopolamina) flavonoidi, tannini.

Parti velenose della pianta Tutta la pianta è estremamente velenosa, dalle foglie che contengono atropina e iosciamina, alle radici, ricche di scopolamina, ai fiori, alle bacche, agli steli. 3-4 bacche di belladonna possono essere mortali anche per un adulto.

Habitat: Sporadica nei boschi freschi, specialmente di faggi. 0-1400 m.

Proprietà farmaceutiche: Analgesiche, narcotiche, antispasmodiche. Per uso esterno pomate antireumatiche.In omeopatia è usata nel trattamento dell'emicrania.

Avvertenza: Tutta la pianta è velenosa. il suo uso è riservato ai medici.

Nota Contrariamente a quanto annotiamo per altre piante, l'essiccazione delle parti aeree ne aumenta la tossicità con la trasformazione della iosciamina in atropina

Curiosità Antiche credenze .Mettere a dimora due piante di belladonna all'ingresso del giardino, ai lati del viale che conduce all'abitazione, allontana gli spiriti maligni e quindi salvaguarda l'intera famiglia che vi risiede.

 

Dal libro "Piante velenose" di Appendino- Luciano - Colombo - Gatti. ed. ArabaFenice - Boves.

La belladonna è la più conosciuta fra le cosiddette "piante delle streghe", ed è da sempre associata a riti satanici. L'intossicazione è infatti caratterizzata da allucinazioni e disordini psicomotori, sovente di natura erotica, che si manifestano con movimenti stereotipi di danza, risa, pianto, urla e tentativi di morsicare chi sta vicino. E' stato ipotizzato che il sabba delle streghe sia il risultato dell'uso rituale della belladonna, che provoca anche una sensazione di levitazione (le streghe volano!), e la pianta è immortalata (per così dire) nel nome di alcuni complessi (sic) psichedelici...(Ci dissociamo dal definirli musicali per rispetto alla musica) La belladonna è anche molto velenosa, ed il suo nome latino (Atropa) fa allusione alla Parca che tagliava il filo della vita. Alla fase eccitatoria ed allucinatoria, seguono infatti tutti i classici sintomi di avvelenamento muscarinico (dilatazione delle pupille, secchezza delle fauci, rossore cutaneo, disturbi cardio-circolatori con accelerazione del polso, ed infine paralisi respiratoria).

L'utilizzo medicinale della belladonna è relativamente tardivo, a ragione della sua velenosità e della difficoltà di dosaggio. La pianta è stata usata come anestetico chirurgico prima dell'avvento degli anestetici di sintesi. La belladonna è stata usata in passato come veleno per le frecce, e alla morte dell'Imperatore Augusto si diffuse la voce che la moglie Livia l'avesse avvelenato con la belladonna. Nell'undicesimo secolo, gli scozzesi respinsero l'attacco degli invasori danesi avvelenando con il succo delle bacche di belladonna la birra scura dei loro rivali. Il loro capo era Macbeth, immortalato poi nell'omonima tragedia di Shakespeare. Il nome "belladonna" fa riferimento all'uso cosmetico della pianta nel Rinascimento, quando il suo succo era utilizzato per dilatare la pupilla e rendere più attraente lo sguardo delle dame. Gli effetti della pianta sull'occhio sono di lunga durata (giorni), ma la dilatazione delle pupille porta a gravi difficoltà di accomodamento, rendendo difficile la lettura. Le dame potevano anche sembrare più attraenti, ma di sicuro non leggevano molto. L'utilizzo cosmetico di composti così velenosi non deve sorprendere: il Botox, così popolare per togliere le rughe, contiene infatti la tossina botulinica, il veleno più potente che si conosca.

Tutte le parti della belladonna contengono alcaloidi tropanici (iosciamina, atropina, scopolamina), che vengono sintetizzati nelle radici, caratteristica tipica della famiglia delle Solanaceae, e traslocati poi in tutto il resto della pianta, soprattutto in frutti e semi (> 0.6%). Il frutto della belladonna, una bacca delle dimensioni di una ciliegia, ha un colore simile al mirtillo, e, sorprendentemente per un frutto contenente alcaloidi, non ha sapore amaro molto spiccato. Per questa ragione, la maggior parte dei casi di avvelenamento da belladonna riguardano bambini piccoli, che sono attratti dal colore delle bacche e le mangiano. L'avvelenamento da veleni muscarinici come la belladonna è particolarmente grave ai tropici, perché questi composti inducono il blocco della sudorazione, impedendo la regolazione della temperatura e portando a rapida ipertermia. Anche il miele ottenuto dai fiori di belladonna è velenoso, e la sua tossicità è documentata nella letteratura medica, mentre la maggior parte degli uccelli può mangiare impunemente i frutti della pianta. L'intossicazione è trattata con lavanda gastrica e carbone attivo per eliminare il veleno o, almeno, rallentarne l'assorbimento, con sedativi, e con tutte le misure necessarie per mitigare l'ipertermia (acqua fredda, bagni freddi). Gli agenti colinergici come la fisostigmina, antagonizzano l'azione muscarinica dell'atropina e sono gli antidoti specifici per l'avvelenamento.
Piante come la belladonna sono definite "eroiche" per la loro potenza, e non sono più usate in terapia, sostituite dai loro costituenti puri (atropina nel caso della belladonna). L'atropina è comunemente usato in oculistica per dilatare la pupilla.