Il Forte


.Dal libro del prof. Giovanni Manzoni "Ceva e il suo marchesato" Tipografia Randazzo 1911- Ceva

Le notizie intorno agli avvenimenti del 1553 fanno per la prima volta parola del Forte, che fu pur tanta parte nelle guerre del Piemonte fino alle invasioni mapoleoniche.

In primo piano "Il Forte" in un dipinto del 1600
  
   
Uno storico infatti attribuisce al duca Carlo III e agli ultimo mesi, che precedettero la sua morte, la costruzione della fortezza, allo scopo di arrestare i francesi; un altro invece ci informa che in quell'anno il forte fu preso dai francesi, e con esso tutto il resto del marchesato cadde in potere dei nemici.
Dai documenti dell'archivio comunale non risulta molta luce su tale fondazione. Non è improbabile che i fortilizi, alla cui costruzione si accenna nelle taglie imposte nel 1542, fossero nella posizione del Forte: in tal caso sarebbero stati i primi lavori. De Forte apertamente parla un atto del 1557, relativo alla fornitura di letti e utensili per i soldati destinati a presidiarlo: e poichè quivi è citato un ordine del Brissac di due anni innanzi, relativo a detta fornitura, la costruzione non può essere rimandata dopo il 1555. Nelle carte riflettenti i progetti di ampliamento del Forte, fatti nel 1611, si dichiara espressamente che le fondamenta furono gettate dai francesi: invece un altro elemento tradizionale intorno alla Madonna del Forte associa ai lavori del Forte il nome di Emanuele Filiberto. Infatti,quando nel 1794 temevasi l'invasione francese, il consiglio comunale deliberava di invocare l'aiuto divino con una processione, recando per sicurezza lassù il simulacro della vergine, che dicevasi trovato negli scavi fatti per il Forte al tempo di Emanuele Filiberto. Si può ritenere, amio giudizio, che lò costruzione, cominciata negli ultimi mesi del ducato di Carlo III, là dove forse esistevano già alcuni fortilizi, sia stata proseguita dal Brissac, e poi da Emanuele Filiberto.
 
 
 
La porta principale del Forte sorgeva al lato nord; all'ingrasso aveva sede il corpo di guardia; in vicinanza le caserme, le abitazioni del governatore e degli ufficiali, poi i torrioni della fortezza, circondata da mura e da bastioni poderosi. Verso levante, e quasi sul ciglio della strada, diretta alla Pedaggera, sorgeva una torre di vedetta, circolare, a tre piani, che esternamente aveva riprodotta la dolce effige dell' Addolorata.
(vedi foto sotto)
 
 
 
 

La torretta del Forte di Ceva; unica costruzione rimasta in piedi
dopo la distruzione del Forte.

Vogliamo ora completare le vicende del Forte di Ceva ricordando i più memorabili fatti d'armidurante gli attacchi degli invasori stranieri.
1610 - Nel carteggio dell'archivio dei marchesi Pallavicino in castello (A - Il) si legge che Carlo Emanuele I, scrivendo al vassallo, Paolo Antonio, raccomanda che " si custodisca la fortezza con 50 soldati di milizia e si ripari in qualche migliore maniera". Nella lettera seguente il duca prende la risoluzione d'inviare un ingegnere per la suddetta riparazione. E per confermare quanto gli stesse a cuore la fortezza scrive: "Nel forte deve esserci un eremita; potete assegnargli un'altra chiesa lontana da quel loco, perchè in quello non vogliamo che ci sia persona oltre i soldati".
1614 - Anche suo figlio, cardinale Maurizio di Savoia, si interessa del forte. Manda lettere al governatore Pallavicino per assicurarsi che i soldati sian giunti e che non manchino le munizioni; "raccomanda a tutti i difensori del forte di tenersi pronti colle armi et munizioni da guerra per marciare subito et senza dilatione al primo avviso ".
1638 - Gli Spagnuoli in numero di 13 mila, sotto il comando del generale Caracena, strinsero il forte con un ostinato assedio, ma dovettero rinunciare alla dura impresa.
1649 - Un nerbo degli stessi Spagnuoli, sbarcati ad Oneglia, diedero un fiero attacco alla fortezza, ma ne furono con vigore respinti.
1707 - Il presidio militare del forte tenne testa ai Gallispani.
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1796 - Napoleone,dopo essersi impadronito di Ceva, della Bicocca di San Michele e del Bricchetto di Mondovì, trovò aperta la via del Piemonte e portò il suo quartiere a Cherasco.
Di la inviò subito al governatore del forte di Ceva, conte di Tornafort, un superbo messaggio imponendogli la capitolazione entro ventiquattro ore, passate le quali la fortezza sarebbe distrutta dal fuoco delle batterie. L'aiutante di campo Marmont, che portò il dispaccio, fece di tutto per entrare nella guarnigione, lusingandosi di ottenere la resa coll'offerta di vantaggiose condizioni; ma non ci riuscì.
Intanto Napoleone trattava a Cherasco un armistizio con Vittorio Amedeo III e tra le imposizioni della pace voleva nelle sue mani le fortezze principali di Cuneo e di Ceva.
Il re dovette acconsentire, nonostante che il forte di Ceva si difendesse gagliardamente, e l'infausta tregua fu firmata il 28 aprile 1796.
Nel 1800 Napoleone dette l'ordine di smantellare questo Forte, che prima non era mai stato possibile distruggere.
S'impiegarono sei mesi nel preparare le mine e all'albeggiare di in triste giorno si udì lo scoppio simultaneo di cento ordigni... Ergevasi al cielo un denso vortice di fumo; i grossi macigni con orrendo fragore rotolavano giù per l'erta. Erano i baluardi della fortezza, che sotto l'azione della polvere sfasciavansi e venivano distrutti.
Napoleone aveva decretato lo smantellamento e la sua voce tuonò terribile come la Delenda Carthago di Catone. Il giorno dopo la roccaforte era deserta e convertita in un mucchio di rovine. Non restò in piedi che una torre rotonda, come superstite fra le macerie…

Dal libro di Padre Giuseppe da Bra "Ceva in tutti i tempi" Tipografia Ghibaudo 1959 - Cuneo
Ancora:
Dal libro " Storia, arte e castelli del cuneese" di Anita Piovano - Ed Gribaudo.
Il compito difensivo di Ceva spetterà infatti in questo periodo ad un forte iniziato dallo stesso Emanuele Filiberto, nel 1560, dopo la pace di Cateau-Cambrésis. Con questa pace, intercorsa fra la Francia e la Spagna, si riconosceva il predominio della Spagna in Italia, mentre la Francia doveva restituire ai Savoia le terre occu-pate, conservando il solo Marchesato di Saluzzo. Il forte sarà ulti-mato da Carlo Emanuele II ed al forte è legata la leggenda di Bianca d'Alba. Nel 1615 si era rifugiata a Ceva Bianca, figlia di un nobile di Alba, costretta ad abbandonare la casa del padre perché questi voleva darla in sposa ad un signorotto della Langa, che lei però non amava. A Ceva Bianca abitava in una modesta casa sul pendio della collina e trascorreva il suo tempo dedicandosi ad opere di beneficenza. Curava gli ammalati, confortava i morenti, girava per i casolari sparsi portando aiuti, medicinali e denaro a chi viveva in miseria. Ma Bianca si distinse particolarmente durante una grave epidemia che era scoppiata fra i cinquecento soldati del forte, che furono curati da lei amorosamente ed ebbero, nella loro sofferenza, la sua presenza sollecita ed il conforto di un sorriso che incuteva speranza e ridava fiducia. Di qui le derivò l'appellativo di " Buona fata del forte di Ceva ". La gioia arrivò più tardi a premiarla del suo altruismo e della sua bontà. Un giorno, inaspettatamente, giunse nella modesta casa di Ceva Ottone, feudatario del Duca di Mantova, figlio del barone Vilfrido di Lerice, antico amore di Bianca. Gioia ed emozione fecero da sfondo all'inaspettato incontro e trovarono la logica conclusione nel matrimonio, celebrato solennemente nella cappella privata di un certo don Silvio, uomo colto, eloquente, astuto, che preferiva comporre dissidi politici piuttosto che recitare sermoni. Nel giorno del matrimonio la felicità di Bianca fu completa perché oltre a coronare il suo sogno d'amore si riappacificò con i genitori e col nobile della Langa che le era stato destinato come marito dal padre e che lei aveva rifiutato. Così Bianca ritorno a vivere con lo sposo nella casa del padre... e vissero felici e contenti, mentre a Ceva il presidio del forte murava una lapide a ricordo della sua generosa presenza:
"Qui visse due anni
Bianca di Alba
la buona fata del forte"

Nel forte di Ceva si rifugiò, nel 1706, la regina Anna d'Orléans, quando Torino fu assediata dai Francesi. Sempre nel forte, le cui prigioni sorgevano nell'estremità meridionali dell'alta rocca, fu incarcerato Pietro Giannone di Ischitella, storico e giurista, autore della " Istoria civile del regno di Napoli" (1723), opera che ebbe risonanza europea e che gli procurò la scomunica e la persecuzione della Chiesa, perché affermava la supremazia dello Stato sulla Chiesa. Dopo la scomunica egli si era rifugiato a Ginevra tra i protestanti, ma, per celebrare la Pasqua, era entrato nel territorio sabaudo dove fu arrestato per le pressioni esercitate dal Vaticano sul Re di Sardegna. Trasferito da Ceva a Torino, il Giannone fu tenuto in carcere per dodici anni, fino alla sua morte. Personaggio scomodo dei suoi tempi si cercò di tappargli la bocca imprigionandolo, ma restano gli scritti a testimoniare le sue idee, presa di posizione coraggiosa contro la Chiesa che, potente allora nel settore politico, era ben decisa a conservare la sua importanza. Il forte di Ceva fu poi fatto minare da Napoleone nel 1800, dopo la battaglia di Marengo: rimangono a testimoniare la sua esistenza resti di mura, bastioni e caverne, scavate nella roccia, anticamente adibite a deposito. Oggi, dell'antico sistema difensivo di Ceva, oltre ai ruderi del forte, resta autentica la torre guelfa del Broglio, costruita nel 1331, unico grandioso residuo del ponte fortificato che dava accesso all'antico castello. Solidamente strutturata, la parte terminale è più ampia della base ed è finemente decorata.
Ceva è attualmente una tranquilla cittadina che conserva, come molte altre, la strada centrale porticata. Percorrendo i suoi antichi portici, in un tranquillo pomeriggio assolato, si riceve una piacevole impressione di fresco. Nel silenzio i nostri passi acquistano una dimensione di mistero e ci proiettano nel passato quando i portici offrivano un utile riparo ai commerci ed alle contrattazioni.